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INDIRIZZO
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L’Analisi Transazionale, o AT, trae le proprie origini dal pensiero di Eric Berne. E una filosofia basata sull’okness, che significa che ogni individuo è ok ed ha le potenzialità e il desiderio di crescita e auto-realizzazione. E anche una teoria che permette di spiegare lo sviluppo di una persona, e quindi della sua personalità e delle sue relazioni, strumenti di elezione per un percorso di miglioramento.
Questo porta ad una psicoterapia che ha il fine di promuovere crescita e cambiamento, condividendo e concordando insieme ogni passo.
È un approccio per sua natura integrato, ossia che ingloba metodi terapeutici tipici di altri orientamenti:
Psicoanalisi, CBT, Teoria Sistemica, PNL. Questo permette grande flessibilità nelle metodologie e rispetto delle caratteristiche che rendono unico ogni individuo.
Quando ci rivolgiamo ad un professionista della salute mentale? Quando abbiamo il desiderio di cambiare!
“Ci deliziamo nella bellezza della farfalla, ma raramente ammettiamo i cambiamenti a cui ha dovuto sottostare per raggiungere quella bellezza.”
Maya Angelou
L’assertività permette di comunicare sentimenti, pensieri, desideri e bisogni, rispettando la dignità dell’altro, ma anche se stessi e la comunicazione, definita come relazione che si crea tra individui.
Sfruttando la comunicazione assertiva, è meno probabile avere interazioni che portano a sofferenza, perché si è diretti, ma anche positivi e rispettosi.
Ma come si fa ad essere più assertivi? Si può cercare di comunicare che si è disponibili ad aiutare (senza imporsi), spiegare di cosa si ha bisogno, quali sono i propri desideri, nonché chiarire i confini e limiti che non si vogliono superare.
Il divenire genitori è un processo determinato su più livelli (genetico, personale, socioculturale). Non corrisponde al solo momento della nascita del proprio figlio/a e comporta numerosi cambiamenti, a breve e lungo termine, essendo non lineare e imprevedibile.
Per tali motivi, divenire genitori è un processo naturale, ma non per questo semplice.
La genitorialità è vista come portatrice di sola gioia e soddisfazione, ma può essere accompagnata anche da momenti di difficoltà.
Il ruolo del professionista è dare supporto in ogni fase che caratterizza il percorso alla genitorialità e a tutti gli individui coinvolti.
L’igiene del sonno può essere definita come l’insieme delle buone norme che permettono di riposare in maniera soddisfacente.
Le ricerche hanno permesso di comprendere quali sono le principali variabili che, in situazioni normali, possono permettere di migliorare il sonno notturno. Fra queste, si possono ricordare:
– Cercare di mantenere un ritmo sonno-veglia (RSV) regolare, quindi andare a dormire e svegliarsi sempre alla stessa ora, evitando sonnellini diurni e seguendo il ritmo circadiano
– Assicurarsi che l’ambiente dove si dorme sia confortevole (materasso comodo, luci accoglienti, temperatura giusta) e di assumere posizioni comode (es. usando cuscini sotto le ginocchia)
– Usare l’ambiente letto solo per dormire, questo permette un sonno più profondo e duraturo
– Mangiare in modo moderato, soprattutto prima di coricarsi, per non andare a letto affamati né appesantiti. Inoltre, evitare di bere troppo prima di dormire, essendo poi costretti ad alzarsi
– Evitare luci troppo intese e l’uso di strumenti tecnologici, nonché l’assunzione di sostanze stimolanti.
Anche lo stress ha un ruolo fondamentale nel sonno: si può cercare di rilassarsi tramite un’attività fisica regolare, ma anche chiedendo aiuto e supporto in momenti di particolare difficoltà.
In Italia, attualmente, non è possibile per due persone dello stesso genere di essere entrambe genitori di un bambino/a.
Nonostante ciò, la coppia può concepire un figlio -tramite la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) o la GPA (Gestazione Per Altri)-, ma all’estero, in un Paese dove è consentito.
Al rientro in Italia, però, sarà garantito solo ad uno dei due partners il diritto all’essere genitore (di norma al genitore biologico), mentre il cosiddetto genitore sociale sarà costretto a intraprendere un percorso legale per poter adottare il suo stesso figlio.
Per queste coppie, quindi, il desiderio di genitorialità è estremamente difficile da realizzare e, successivamente, da essere riconosciuto, sia a livello sociale che giuridico-istituzionale.
Questo è uno dei fattori che concorre al sottoporre le famiglie omogenitoriali (o arcobaleno) ad un forte minority stress: si trovano costrette a fronteggiare una compromissione dei diritti umani fondamentali.
Ciò ha un enorme impatto anche sui loro figli, che vivono una situazione di instabilità a causa di un irragionevole mancato riconoscimento istituzionale.
Una delle principali cause che concorre a questo vuoto legislativo rientra nel preconcetto che “un bambino ha bisogno di una mamma e un papà”. Tuttavia, la letteratura scientifica, che ora conta più di 30 anni di ricerche, conferma che l’avere genitori dello stesso genere non è un fattore di rischio per lo sviluppo di problemi psicologici.
Ciò che crea una forte sofferenza sono, invece, la stigmatizzazione e l’instabilità giuridica (dunque il non riconoscimento dal punto di vista sociale e istituzionale), che possono portare i figli di queste coppie a sperimentare una minor fiducia in se stessi e più problemi comportamentali.
“Non sono né il numero né il genere dei genitori a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano”.
Associazione Italiana di Psicologia
Con SOMATIZZAZIONE si intende l’espressione di una sofferenza psichica tramite sintomi fisici ricorrenti e duraturi, che spesso richiedono numerosi accertamenti medici. Tuttavia, di solito, questi sintomi non sono spiegabili e giustificabili da una condizione organica conosciuta (malattia).
Sembra avere un’eziologia multifattoriale, ossia avere più cause (ipocondria, attacco di panico e disturbi dell’umore, ma anche tutti gli eventi che causano stress e sofferenza), e presentarsi in situazioni molto diverse tra loro.
I sintomi più comuni sono: difficoltà a respirare (senza sforzo fisico), disturbi gastro-intestinali, mal di testa, mal di schiena e dolori alle articolazioni. Altri possono essere problemi nella coordinazione o nell’equilibrio, vertigini e difficoltà a deglutire.
Spesso il non trovare una causa certa a queste difficoltà comporta ulteriori stress e frustrazione (nonché ansia o depressione), che possono rendere ancora più pesante la situazione: il dolore o il disturbo, per quanto non abbiano causa organica riconosciuta, sono reali e interferiscono in modo significativo con la vita della persona.
In questi casi, il primo passo da compiere è di tipo medico: accertarsi, tramite esami specialistici, dell’assenza di un disturbo organico. Successivamente, optare per un percorso psicologico o psicoterapeutico, che permetta di comprendere le cause più profonde del sintomo fisico.
Il linguaggio è definito come la capacità cognitiva che permette la comunicazione tra individui, lo scambio di informazioni, l’interazione sociale e la rappresentazione narrativa degli eventi. Si può distinguere il linguaggio verbale da quello non verbale (movimenti del corpo, del volto ed espressioni facciali, postura, uso dello spazio o prossemica, ossia la distanza fisica tra due persone, che è indice della confidenza tra i soggetti).
È utile anche ricordare anche alcune delle proprietà del linguaggio:
– Espressiva: permette alle persone di segnalare i propri stati d’animo;
– Evocativa: proprietà che porta a influenzare o persuadere l’interlocutore;
– Intraindividuale: struttura il Sé;
– Rappresentativa: è il mezzo di comunicazione del pensiero astratto.
Ma che correlazione c’è tra bilinguismo e sviluppo del linguaggio e cognitivo nel bambino?
Inizialmente si pensava che i disturbi del linguaggio, ovviamente in particolar modo quelli che si presentano in bimbi bilingui, derivassero proprio dall’esposizione a più lingue sin dalla tenera età. In realtà, secondo le ricerche, non solo il bilinguismo non è alla base di alcun disturbo, ma comporta anche numerosi benefici in diverse aree, oltre alla conoscenza di due lingue:
– Futuri vantaggi sul mercato del lavoro;
– Accesso a due culture e maggiore tolleranza verso culture diverse;
– Maggiore conoscenza spontanea della struttura del linguaggio (i bambini bilingui conoscono intuitivamente la struttura e il funzionamento delle lingue), abilità metalinguistica che permette poi un precoce sviluppo delle abilità di lettura (grazie ad un più avanzato riconoscimento del sistema di corrispondenza tra lettere della lingua scritta e suoni della lingua parlata) e che avvantaggia nell’apprendimento di ulteriori lingue;
– Maggiore e più precoce sviluppo della teoria della mente, ossia la capacità di comprendere -e la consapevolezza- che altre persone possono pensare, sentire, vedere le cose da una prospettiva diversa dalla propria;
– Miglior controllo esecutivo sull’attenzione, ossia la capacità di passare rapidamente tra un compito e un altro e di ignorare fattori di disturbo. Ciò sembrerebbe dovuto al fatto che le due lingue sono sempre attive simultaneamente nella mente, dunque i bimbi bilingui sviluppano un “meccanismo di inibizione” che permette loro di mantenerle separate, in modo tale da limitare l’interferenza della lingua non in uso su quella in uso.
Con novelty seeking (o sensation seeking) si descrive una dimensione della personalità, descritta per la prima volta da Zuckerman nel 1964. È un costrutto sfaccettato, che include a sua volta diverse dimensioni: ricerca del brivido (esplorazione, evitamento della routine e della monotonia), preferenza per le novità (inclinazione alla curiosità, all’esuberanza ed entusiasmo, ma anche alla noia e irritabilità in mancanza di nuovi stimoli), assunzione di rischi, evitamento del danno (tendenza al pessimismo, a rispondere a stimoli avversi in modo intenso, a temere l’ignoto ed evitare le punizioni) e dipendenza dalla ricompensa (propensione a reagire positivamente ed intensamente a messaggi gratificanti, come lodi o segnali di approvazione, e a ricercarli).
Per quanto si pensi sia correlata solo al fare sport estremi, da questa caratteristica di personalità sembrano dipendere: maggior impulsività, tendenza al disordine, alta intolleranza a frustrazioni ripetute, propensione ad altre attività rischiose, come abuso di droghe, attività sessuali rischiose e la predisposizione a subire lesioni accidentali.
Essendo un tratto di personalità, la novelty seeking è di per sé non patologica, tuttavia può comportare serie difficoltà per l’individuo, e dunque può essere richiesto il supporto di un professionista.
Sempre più spesso, al giorno d’oggi e nella cultura contemporanea, passare del tempo a “non fare” è visto in modo molto negativo, tanto che ci si può sentire spinti a essere iper-produttivi, super-attivi e sempre performanti.
Si potrebbe pensare che questo “non fare” significhi compiere azioni futili, afinalistiche, essere pigri, svogliati, o addirittura negligenti. Dunque essere così giudicati anche dagli altri.
In realtà, tutti necessitano di tempo per se stessi (in compagnia o meno) e di dedicarsi alle attività che più piacciono. Serve dirsi “va bene anche” investire del tempo per leggere, guardare un film, uscire per una passeggiata, dormire fino a tardi e riposarsi, non aggiornare le e-mail o visualizzare i messaggi.
Per poter essere sufficientemente produttivi, avere le energie che servono e stare bene, è necessario anche dedicare del tempo per non fare.
Il gruppo Aloha, di cui faccio parte, presenterà il ciclo di incontri: DIVENIRE GENITORI – Viaggio attraverso la maternità.
Non si diventa genitori nel momento in cui nasce un bambino, ma lo si diviene tramite un lungo percorso di cambiamento che passa attraverso adattamenti continui.
Cambiano il singolo e la coppia, già nel momento in cui si pensa di volere un figlio, il corpo durante e dopo i nove mesi di gestazione, le abitudini, le routine, l’alimentazione, il sonno, le priorità.
Abbiamo pensato ad un percorso aperto a tutti, non solo neogenitori, fruibile sia in presenza che online, per approfondire alcune tematiche poco affrontate a livello socioculturale, come nei corsi pre-parto:
– La relazione di coppia,
– Le difficoltà emotive in gravidanza e nel post-partum,
– Lo sviluppo del bambino,
– I cambiamenti per la mamma,
volendo comprendere le esperienze delle principali figure coinvolte nella nascita di un bambino: mamma, ma anche papà.
Per info e prenotazioni: psic.aloha@gmail.com – 378 081 6181
L’empowerment può essere descritto come un processo di crescita, che si basa sull’aumento di autostima, senso di autoefficacia e autodeterminazione.
Permette di far emergere risorse presenti in noi, che semplicemente prima non erano manifeste, e ad appropriarsi del proprio potenziale in modo consapevole.
Ci si appropria di qualcosa che ci rende più capaci, forti, in grado di intervenire attivamente nella vita per raggiungere i nostri obiettivi.
Questo è un processo che comporta un’inversione della percezione dei propri limiti, poiché ci si concentra sul raggiungimento dei risultati, non solo sugli ostacoli che si possono incontrare.
L’empowerment è dato e favorito dalla misura in cui si è in grado di:
– sentire di avere le competenze per affrontare i problemi;
– attribuire a sé gli effetti delle proprie azioni, non ad altri o al fato (caritatevole o cattivo);
– avere fiducia nella propria capacità di agire nella realtà, nella vita.
Dunque, il processo di empowerment può iniziare proprio concentrandosi su questi obiettivi, lavorandoci anche con l’aiuto di un professionista.
La demoralizzazione è una condizione che deriva dalla sensazione di essere incapaci, che comporta mancanza di speranza, senso di impotenza e fallimento persistenti, e dalla perdita di significato e scopi della propria vita, che conducono ad un senso di sconfitta e, in alcuni casi, al desiderio di morte nell’individuo che la sperimenta.
La demoralizzazione può essere compresente alla depressione, fatto che aumenta il dolore mentale. Tuttavia, demoralizzazione e depressione si distinguono, perché nella prima mancano i cosiddetti “disturbi neurovegetativi” (come difficoltà del sonno, mancanza di appetito e di forze, difficoltà a concentrarsi) e prevede la sola incompetenza soggettiva (sentirsi incapacità ad affrontare e quindi risolvere i problemi, provare un senso di inutilità, mancare di progettualità).
Può capitare a tutti di vivere momenti in cui si prova un senso di demoralizzazione, più o meno marcato, e può risultare utile richiedere il supporto di un professionista.
Spesso accade di ripetere o di sentirsi dire frasi come “Non ci pensare e vedi che ti passa! È inutile agitarsi!”, “Beviti una camomilla che ti aiuta a rilassarti”, “Non panicare”.
Per quanto siano dette con le migliori intenzioni, per far capire a qualcuno che ha una reazione esagerata e che non succederà nulla di grave, non sortiscono alcun effetto nelle persone che soffrono di ansia. Anzi, al contrario potrebbero aumentare il loro senso di inadeguatezza.
L’ansia consiste nell’anticipare (talvolta troppo) una minaccia futura e, una volta innescata, non passa grazie alle rassicurazioni, perché spesso la persona si sente sopraffatta da qualcosa che non può controllare, di imprevedibile e minaccioso. L’ansia non è per forza patologica, può essere una risposta fisiologica di fronte ad un avvenimento importante. Tuttavia, se lo diventa, può portare la persona a provare: senso di vuoto mentale, allarme e pericolo, con pensieri negativi e messa in atto di comportamenti protettivi di tipo cognitivo; bisogno eccessivo di esplorare l’ambiente (e le vie di fuga), di ricevere spiegazioni e rassicurazioni, tendenza all’evitamento; atri sintomi di tipo somatico tensione, palpitazioni o cardiopalmo, tremori e formicolii, aumentata sudorazione, sintomi gastrointestinali, vertigini…
Dunque, non sempre è possibile che l’ansia si esaurisca da sola, in questi casi può essere utile chiedere l’aiuto di un professionista, come uno psicologo.
Ogni caregiver assolve a diverse funzioni, fra cui: affettiva, protettiva, regolativa o normativa, e comunicativa.
Gli Stili di Parenting (o educativi) consistono nelle modalità, proprie di ogni persona, di mettere in atto i comportamenti correlati a tali funzioni. Esistono 4 principali stili educativi, che variano per livelli di controllo esercitato e regole imposte, affetto dimostrato, efficacia delle comunicazioni e cura generale:
– INDULGENTE (o permissivo), tipico del genitore che non dà indicazioni su cosa fare o non fare. È quindi poco richiestivo ed esercita uno scarso controllo sul figlio (tende a lasciare troppa libertà). È anche molto affettuoso e disponibile per comunicare.
– AUTORITARIO, in cui l’adulto esercita molto controllo, fornendo anche indicazioni precise sul comportamento da tenere e i risultati da raggiungere. È dunque molto esigente, talvolta con aspettative irrealistiche, e può risultare poco affettuoso e incline alla comunicazione.
– AUTOREVOLE, è lo stile a cui più ispirarsi: comporta alti livelli di affettuosità, buona comunicazione e un giusto controllo (con indicazioni chiare verso obiettivi realistici). È tipico di caregivers che non ricorrono a punizioni, sono fermi nelle decisioni ma al contempo comprensivi, risultando efficaci.
– DISIMPEGNATO (o negligente/neglecting), di un caregiver che non dà sufficiente supporto, è disattento ai bisogni del figlio e non lo controlla. Può delinearsi come patologico (o anche pericoloso) e come fattore di rischio per lo sviluppo di difficoltà o disturbi nel bambino.
Gli studi su difficoltà e disturbi dei padri nel periodo perinatale sono molto recenti. Infatti, nonostante siano situazioni frequenti, per decenni le ricerche si sono occupate quasi esclusivamente delle madri, per diverse motivazioni:
– La funzione del padre è spesso sottovalutata;
– I padri mostrano una scarsa disponibilità a prendere parte alle ricerche o chiedere aiuto;
– Gli uomini tendono a manifestare le proprie difficoltà in modo differente dalle donne, spesso minimizzando gli aspetti depressivi. Dunque, i disturbi possono venire erroneamente considerati meno gravi dal punto di vista clinico;
– Per screening e diagnosi sono utilizzati strumenti concepiti per la valutazione delle donne, che non tengono conto delle differenze di genere.
Per tali motivi, i disturbi paterni tendono ad essere sottovalutati e non diagnosticati.
Secondo le ricerche attuali, però, molti sono i padri che vivono delle difficoltà nel periodo perinatale, compreso lo sviluppo di disturbi come la depressione.
Inoltre, è stato dimostrato come gli stati mentali di padre e madre si influenzino reciprocamente e ciò aumenta il rischio di sviluppare un disturbo psicologico quando anche il partner ne soffre.
I sintomi più frequenti che i padri dimostrano sono:
– Depressione e/o ansia
– Attività fisica o sessuale compulsiva o pericolosa
– Dipendenze
– Alterazioni del comportamento di malattia
– Agiti e disturbi del comportamento.
Oltre a causare sofferenza nella persona che li prova, questi sintomi hanno anche ulteriori possibili effetti secondari in diverse aree: vita sociale, salute psicologica della madre, sviluppo del bambino e della relazione madre-bambino, vita di coppia, esperienze lavorative, …
Il modo migliore per iniziare ad affrontare la situazione è parlare dei propri vissuti emotivi con le persone vicine e, in caso, con professionisti.
Le abitudini sono schemi alla base del comportamento, che portano a prendere sempre le stesse decisioni di fronte a determinati eventi o stimoli. Sono fondamentali perché permettono di mantenere la cosiddetta “omeostasi”, ossia un equilibrio interno, una coerenza.
Le prime abitudini vengono apprese addirittura durante l’infanzia, ma possono esserne aggiunte o venire variate durante tutto l’arco della vita.
Le abitudini si attivano in modo automatico e spesso inconsapevole. Se da un lato questo permette di risparmiare energie mentali, dall’altro vi è il rischio di rimanere ancorati a decisioni fisse, rigide, che fanno stare male.
Quindi è possibile cambiare abitudini? E come si fa? Il primo passo è proprio comprendere che qualcosa non fa stare bene. Successivamente è fondamentale individuare quale abitudine non soddisfa, capire perché la si mette in atto e che vantaggi ha.
Una volta compreso ciò, si può provare a mettere in atto una nuova routine per sostituire quelle vecchie, passo dopo passo, premiandosi per i risultati ottenuti. Perché, proprio per i lfatto che danno sicurezza e permettono di funzionare con un bassissimo dispendio energetico, alcune abitudini sono particolarmente complesse da cambiare.
17 novembre – Giornata mondiale della prematurità
Divenire bambini e divenire genitori prima del tempo
Le cause della nascita pretermine possono essere molteplici (fisiopatologiche, genetiche ed ambientali), così come le successive complicanze, che dipendono anche dall’età gestazionale (ossia le settimane di gestazione del bambino).
Si stima che, nei paesi industrializzati, tra il 5% ed il 10% dei bimbi nasce pretermine, ossia prima della 37a settimana. Mentre, in Italia, la percentuale si attesta tra il 7% e l’8%.
Le ricerche hanno confermato l’importanza di un approccio volto ad una cura individualizzata, che comprenda la presa in carico a livello medico, ma anche umano, e la presenza e il coinvolgimento dei genitori.
Si parla, dunque, di Family Centered Care: la famiglia è al centro delle cure, con l’obiettivo di promuovere la partecipazione attiva dei genitori già dalle prime ore di accesso in TIN (Terapia Intensiva Neonatale).
Il neurosviluppo, infatti, è fortemente influenzato dall’ambiente, ed il bimbo nato pretermine (non ancora pronto al mondo esterno) che deve restare in TIN trae grande sollievo e stimoli positivi per il suo sviluppo dal contatto, dall’ascolto di voci conosciute e da un ambiente accogliente e accudente, attento alle sue specifiche esigenze.
La presenza dei genitori, dunque, è fondamentale per la salute, il benessere del bambino e per la sua maturazione, quanto le cure mediche.
Inoltre, il costruire con lui una relazione è fondamentale anche per i genitori, anche loro divenuti tali prima del tempo, per esplorare ed appropriarsi della loro nuova identità.
Le dipendenze (in inglese Addictions) sono caratterizzate da:
– La continua messa in atto di comportamenti che si è consapevoli che porteranno ad esiti negativi;
– Il comportamento risulta compulsivo e non controllabile;
– Si prova agitazione o malessere (craving) nel momento in cui non si può agire il comportamento problematico;
– Si prova, invece, una sensazione di benessere durante la messa in atto.
In passato, con il termine DIPENDENZA, ci si riferiva principalmente all’abuso di sostanze (compreso l’alcool). Ad oggi, si sa che le dipendenze possono comprendere tutta una serie di comportamenti che non hanno a che fare con l’uso di una sostanza.
In comune hanno il fatto che entrambe le tipologie interferiscono con il sistema nervoso, l’equilibrio chimico a livello cerebrale e l’intera vita della persona.
Queste dipendenze nuove rispetto al passato sono definite “New Addictions” e sono di fatto comportamentali (non collegate a sostanze chimiche).
Ne fanno parte un insieme eterogeneo di comportamenti, disturbi e loro oggetti, fra cui:
– Nuove tecnologie (internet, smartphone, social e pornografia on-line);
– Gioco d’azzardo;
– Shopping;
– Lavoro (workaholism);
– Attività fisica (vigoressia).
Appare chiaro che ognuna delle attività e oggetti citati fanno parte della vita quotidiana.
Ciò non significa che praticare alcune attività o utilizzare oggetti comporta una dipendenza, tuttavia questo aspetto rende difficile comprendere quando si può definire tale una dipendenza.
Inoltre, risulta complesso anche favorire un’astinenza nei confronti di tali comportamenti.
Dunque, è necessario in questi casi avvalersi dell’aiuto di un professionista per intraprendere una terapia. Talvolta, potrebbe essere utile anche l’utilizzo di farmacoterapia, da valutare insieme ad uno psichiatra.
La peak experience (o Esperienza culminante) è un concetto introdotto dallo psicologo statunitense Abraham Maslow. Fa riferimento ad un’esperienza di euforia e benessere sperimentabile in alcuni momenti di estrema felicità.
È un’esperienza che aiuta a contattare le qualità fondamentali della vita, delle quali spesso non si è consapevoli e che sono difficilmente condivisibili e, secondo Maslow, permette di raggiungere l’autorealizzazione, ossia quel bisogno di realizzare le proprie potenzialità, e quindi di essere più pienamente se stessi.
È, quindi, data da
– Realizzazione: vi sono emozioni positive intrinsecamente gratificanti.
– Significato: si vive un aumento della consapevolezza e della comprensione personale, che possono portare ad un punto di svolta nella vita di una persona.
– Spirituale: la persona si sente tutt’uno con il mondo e spesso ha la sensazione di perdere la cognizione del tempo.
Ma quando si potrebbe sperimentare?
– Durante esperienze artistiche, atletiche o religiose;
– In momenti nella natura e con la famiglia o gli amici;
– Quando si raggiunge un obiettivo importante, personale o collettivo; si aiuta un’altra persona bisognosa; o si supera un’avversità.

I NEURONI SPECCHIO sono una tipologia di neuroni (motori) che si attivano sia quando si esegue un’azione finalizzata, che quando la si osserva compiere da un’altra persona.
Sono stati osservati per la prima volta tra gli anni Ottanta e Novanta proprio in Italia, dai ricercatori dell’Università di Parma. Dopo questa scoperta, che potrebbe rivoluzionare il mondo della psicologia, molti altri studiosi si sono interessati alla loro valutazione.
Inizialmente sono stati osservati nei primati, ora sappiamo che sono presenti anche in alcuni uccelli e nell’uomo.
Nella specie umana sono stati localizzati in diverse aree cerebrali: aree motorie, premotorie, nell’area di Broca (linguaggio) e nella corteccia parietale inferiore.
La loro funzione è ancora dibattuta: i neuroni specchio potrebbero essere implicati
– nella comprensione delle altrui azioni e quindi nell’apprendimento per imitazione;
– nello sviluppo della teoria della conoscenza (o teoria della mente);
– nel linguaggio;
– nello sviluppo di patologie della conoscenza e della comunicazione (es. autismo), anche se non vi sono ancora sufficienti ricerche a supporto di questa tesi.
La Teoria della Mente (ToM – Theory of Mind) è un’abilità che usiamo per capire come funziona la mente degli altri.
Questo ci aiuta a gestire il vissuto interno (es. emozioni) e le relazioni, perché permette di spiegare e predire il comportamento, comprendendo che gli altri possono avere stati mentali diversi dai nostri.
Si sviluppa durante i primi anni di vita grazie all’interazione con le figure di riferimento (es. genitori, nonni, …). È permessa da attenzione condivisa (concentrazione contemporanea sullo stesso oggetto); imitazione facciale; e gioco di finzione.
È uno specchio sulle capacità cognitive (proprie e altrui).
Studi di neuroimaging (es. PET – Tomografia a emissione di positroni) e evidenze neuropsicologiche hanno individuato regioni cerebrali specifiche che si attivano in compiti in cui utilizziamo la Teoria della Mente.
Ciò è confermato anche dagli studi con pazienti affetti da lesioni cerebrali (es. lobi frontali), che presentano difficoltà con compiti implicanti la ToM.
Ciò dimostra che la Teoria della Mente e le capacità correlate sono associate a parti specifiche del cervello umano.
Quindi, la ToM si sviluppa nel tempo, non è pre-strutturata. Si costruisce tramite relazioni ed esperienze, sin dall’infanzia, che permettono la formazione di rappresentazioni mentali alla base del comportamento sociale.
Può essere deficitaria in seguito a lesioni, o in alcune condizioni come autismo o schizofrenia.
Ansia & Paura
Spesso si tende a non fare distinzione tra paura e ansia, e si fa difficoltà a comprendere quando quest’ultima è fisiologica e quando patologica (o non è utile).
Effettivamente, sono correlate, ed entrambe hanno a che fare con l’idea di pericolo o di danno da evitare.
Paura: emozione che permette di reagire alla percezione di una minaccia, data da un pericolo specifico e osservabile.
Esempio – quando incontri un cane di grandi dimensioni senza museruola che ti abbaia.
Ansia: è un sistema di risposta complesso, che coinvolge fattori cognitivi, emotivi, comportamentali e fisiologici. Non è, però, focalizzata, è senza oggetto e orientata al futuro.
Di base, entrambe sono funzionali, perché permettono di reagire a minacce e pericoli in modo efficace. Tuttavia, possono divenire patologiche quando non aiutano a gestire e rispondere efficacemente alle situazioni.

La PNL nasce intorno al 1970, dagli studi di Richard Bandler e John Grinder. Coniarono il termine PNL per denotare il collegamento teorico fra i processi neurologici (neuro), il linguaggio
(linguistico) e gli schemi comportamentali appresi con l’esperienza (programmazione), sostenendo che questi schemi (comportamenti, credenze e processi psicologici) possono essere organizzati per raggiungere specifici obiettivi nella vita.
I principi che la guidano sono
Ecologia di sistemi
Le persone possiedono un sistema di credenze e valori costruiti durante la vita e che rappresentano la concezione del mondo, ciò che ci fa agire e comportare in un determinato modo.
Comunicazione
Le modalità di comunicazione delimitano la realtà e il modo di capire il mondo.
Esistono due tipi di comunicazione: interna (ciò che pensiamo e sentiamo nel profondo)
ed esterna (parole, gesti, postura e movimenti).
Modo in cui si processano le informazioni
Le persone si differenziano per il modo di raccogliere le informazioni. Si possono usare i canali visivi, uditivi o le sensazioni.
Ancoraggio
Un modo per raggiungere gli obiettivi o superare problemi sarebbe basato sull’ancorarsi (agganciarsi) ad un momento piacevole, rilassante e positivo che ricordiamo bene e associarlo alla situazione stressante, per affievolire la paura e riprogrammare l’esperienza in modo positivo.
Tempo
Ha un’importanza diversa per ogni persona, però dev’essere gestito in maniera adeguata: nel passato si sedimentano i ricordi e le emozioni. Nel presente si verificano le esperienze sensoriali, si succedono gli avvenimenti importanti per porre le basi per il futuro. Il futuro ancora non esiste e rappresenta un obiettivo.
L’evento esterno arriva attraverso i canali sensoriali ed è «filtrato» sulla base delle percezioni. Quando processiamo un evento utilizziamo dei «FILTRI» (cancelliamo, distorciamo, generalizziamo – descritti nel prossimo post!) per evitare un sovraccarico di informazioni.
Tuttavia tale processo avviene inconsciamente e quindi ne rimaniamo influenzati senza rendercene conto.
Come detto nel precedente post, conosciamo la realtà attraverso i nostri canali sensoriali, che la filtrano.
L’uso dei «filtri» è fondamentale per evitare un sovraccarico di informazioni. Tuttavia, ciò comporta una influenza inconsapevole nella lettura della realtà.
Questi filtri sono:
CANCELLAZIONE
Prevede un’attenzione selettiva a certi aspetti della nostra esperienza rispetto che ad altri.
Questi ultimi vengono lasciati fuori dalla coscienza e consapevolezza.
La cancellazione è fondamentale per evitare che la nostra mente conscia abbia troppe
informazioni da analizzare.
DISTORSIONE
Avviene quando facciamo cambiamenti nella nostra percezione della realtà sensoriale e aiuta nel processo di motivazione.
Il processo di motivazione avviene nel momento in cui modifichiamo parte delle informazioni che ci arrivano dai canali sensoriali.
La distorsione è anche la ragione per la quale un evento ci può apparire diverso da quello che è.
GENERALIZZAZIONE
Consiste nel trarre conseguenze generali sulla base di poche (2-3) esperienze.
Si può anche considerarla come la maniera con cui impariamo, traendo informazioni dall’esterno e giungendo a conclusioni.
Il periodo natalizio viene spesso dipinto come un momento di gioia, unità familiare e tradizioni condivise.
Ma non è così per tutti, ed è ok!
Non tutti sentono il bisogno o il desiderio di festeggiare il Natale con la famiglia o seguire le tradizioni “classiche”. Questo periodo può portare emozioni contrastanti: solitudine, tristezza, tensioni familiari, o anche un senso di non appartenenza alla narrativa collettiva.
Non esiste un modo “giusto” di vivere il Natale:
– Non è necessario essere felici solo perché è Natale. Le emozioni sono valide, qualunque esse siano.
– Va bene creare la propria versione del Natale (riposo, introspezione, condivisione, …).
– Hai il diritto di dire no. Se una situazione causa stress o disagio, scegliere di non partecipare è una forma di cura verso se stessi.
Natale è solo una data sul calendario.
Quello che conta è ciò che ti fa stare bene e sentirti autentic*, in qualsiasi momento dell’anno.
L’attenzione è un processo cognitivo superiore. Essa permette di selezionare ed organizzare le informazioni che arrivano dall’esterno e quindi serve per regolare i processi mentali in base a queste informazioni.
L’attenzione può essere indirizzata in modo volontario o automatico, ossia indipendentemente dalla propria volontà, ai diversi stimoli ambientali.
Si possono distinguere diversi tipi di attenzione, e i principali sono:
SELETTIVA: capacità di concentrarsi sull’oggetto di interesse, e di elaborare in modo privilegiato le informazioni rilevanti per il raggiungimento di uno specifico scopo.
DIVISA: capacità di focalizzare l’attenzione su più stimoli in contemporanea, fondamentale per la vita quotidiana.
SOSTENUTA: capacità di prestare attenzione a un’unica fonte di informazioni per un tempo prolungato.
CONGIUNTA: è il focus condiviso di due persone su uno stesso oggetto. Un individuo guarda un altro individuo, indica un oggetto e quindi restituisce il proprio sguardo all’individuo.
Presente sin dall’infanzia, è fondamentale per lo sviluppo del linguaggio.
Il termine numbness descrive uno stato di intorpidimento emotivo: le emozioni, positive e negative, sembrano inaccessibili. È quindi un meccanismo protettivo che però può far sentire distanti da tutto, una risposta che la mente dà a situazioni di stress o dolore prolungato, di sovraccarico mentale o emotivo, una sensazione di distacco emotivo che fa sentire vuoti, insensibili o scollegati dalla realtà.
(possibili) Caratteristiche
Segnali emotivi
Assenza di emozioni: sensazione di vuoto o incapacità di provare emozioni.
Distanza emotiva: sentirsi scollegati dalle emozioni proprie o degli altri.
Perdita di interesse: mancanza di motivazione o piacere verso attività prima gratificanti.
Indifferenza: difficoltà a provare empatia o coinvolgimento emotivo.
Segnali cognitivi
Difficoltà di concentrazione: fatica a mantenere l’attenzione o a completare compiti semplici.
Sensazione di disconnessione: percezione di essere “bloccati” o “lontani” dalla realtà.
Pensieri apatici: assenza di pensieri emozionalmente carichi o difficoltà a immaginare il futuro con entusiasmo.
Segnali fisici
Fatica cronica: sensazione di stanchezza costante, nonostante il riposo.
Sensazione di pesantezza: come se il corpo fosse “bloccato” o privo di energia.
Riduzione delle reazioni fisiche: come una mancanza di risposte alle emozioni (ad esempio, non sentire il cuore battere forte in situazioni di stress).
Segnali comportamentali
Evitamento: di situazioni sociali o emotivamente intense.
Isolamento: preferire la solitudine alla compagnia degli altri.
Autopilota: Vivere la vita in modo automatico, senza partecipazione attiva.
Segnali relazionali
Difficoltà a connettersi: fatica a formare legami emotivi profondi con amici, partner o familiari.
Sensazione di estraneità: sentirsi come un “osservatore” piuttosto che un partecipante nella propria vita.
Può essere associata o essere segnale di altre condizioni (es. ansia), e non tutti vivono la numbness allo stesso modo: i sintomi possono variare in tipo ed intensità.
È un’esperienza comune in momenti di grande stress, ma se persiste, è importante affrontarla:
- Riconoscere e accettare lo stato emotivo: la consapevolezza di ciò che stai vivendo è il primo passo per poterlo affrontare. La numbness non è un segno di debolezza o di mancanza, ma una risposta naturale a esperienze dolorose.
- Chiedere aiuto professionale: offre uno spazio sicuro per esplorare le cause della numbness e trovare soluzioni concrete. La terapia è un punto di partenza fondamentale per sbloccare emozioni e affrontare traumi, e può accelerare il processo di recupero.
- Praticare la consapevolezza (mindfulness): può aiutare a ritrovare una connessione con il presente, con il corpo e le emozioni. Questo aiuto pratico permette di rallentare, fare spazio a nuove percezioni e affrontare le emozioni in modo graduale e non travolgente.
- Sostenere se stessi con l’autocompassione: la numbness può farti sentire come se qualcosa non andasse in te, ma essere gentili con se stessi e non colpevolizzarsi è cruciale. L’autocompassione ti aiuta a rimanere aperti alla possibilità di guarire senza sentirti sbagliato/a.
- Collegarsi agli altri: la numbness può portare a sensazioni di isolamento, ma parlare con persone di fiducia o fare parte di gruppi di supporto può ridurre il senso di solitudine e offrire comprensione. Le relazioni autentiche sono spesso un potente antidoto all’intorpidimento emotivo.
Il cambiamento in terapia non è lineare… E va bene così!
Spesso si pensa che iniziare un percorso psicologico significhi sentirsi meglio… sempre di più, ogni settimana, con continuità, ma di solito la realtà è diversa e molto più umana.
Il mito da sfatare —> “se la terapia funziona, dovrei migliorare costantemente.”
La realtà —> il cambiamento psicologico è spesso un processo fatto di alti e bassi, passi avanti… e qualche passo indietro.
È normale:
– Avere settimane in cui ti senti peggio
– Mettere in discussione tutto
– Sentire che “non stai andando da nessuna parte”
– Pensare di essere di nuovo al punto di partenza
Ma proprio questi momenti fanno parte del lavoro terapeutico.
Perché è così?
• Perché stai rompendo vecchi schemi
• Perché porti alla luce cose che avevi nascosto (anche a te)
• Perché il cambiamento profondo richiede tempo, consapevolezza e integrazione.
Se senti che stai “tornando indietro”… potresti essere più avanti di quanto credi.
La terapia non è una corsa, è un viaggio ✈️
Spesso non ci accorgiamo di quanto sia importante la voce che usiamo con noi stessi. Il dialogo interno può diventare il nostro alleato più prezioso… oppure il nostro peggior critico.
🧠 Questo piccolo post ti invita a osservare come ti parli dentro e a scegliere di farlo con gentilezza.
Non è sempre facile, ma con un po’ di pratica il modo in cui ti parli può davvero trasformare il tuo benessere quotidiano.
Prova a ripetere oggi una delle frasi gentili suggerite e raccontami nei commenti qual è la tua preferita o se hai altre frasi che ti aiutano! 💬
Se vuoi approfondire o hai bisogno di supporto, scrivimi pure in DM, via email o WhatsApp.
Ricordati: il primo passo per volerti bene è proprio imparare a parlarti con rispetto.
Ti è mai capitato di notare solo le cose che confermano ciò che già pensi?
Questa è la forza del bias di conferma: una tendenza naturale della mente a cercare prove che sostengano le nostre convinzioni, ignorando quelle che le mettono in dubbio.
🧠 Questo meccanismo può farci restare intrappolati in idee fisse e limitanti, ma riconoscerlo è il primo passo per allenare una mente più aperta e curiosa.
Prova oggi a mettere in discussione un’idea che dai per scontata: chiediti se ci sono prove contrarie e ascolta opinioni diverse.
Raccontami nei commenti se ti è mai successo di scoprire un bias di conferma dentro di te!
Se vuoi approfondire o hai bisogno di supporto, scrivimi in DM, via whatsapp o via email.






























